MAFIA: come funzionano certe cose

domenica 24 gennaio 2010

Dall’ articolo del Corriere della Sera 14/11/08 “Un posto da ricercatore, un solo candidato: il figlio del professore”:
“…c'è un concorso a un posto da ricercatore alla Facoltà di Economia (di Messina, ndr). E in quanti si presentano? In cinque? In due? No. Si presenta un solo candidato. E chi è questo candidato? È XXX, figlio del professore YYY, ordinario di AAA presso la Facoltà di Economia del medesimo ateneo fino a maggio del 2008….I candidati per la verità erano tre, ma gli altri due concorrenti dopo che avevano fatto domanda hanno preferito non presentarsi all’esame. Strano. Avevano il 33 per cento «periodico» di vincere un concorso e ad un passo dall'obiettivo
rinunciano”

Dall’articolo del Corriere dellaSera 20/11/08 “Quando il figlio del rettore di Salerno vinse senza aver pubblicato nulla
“Si assegna un posto di ricercatore universitario presso la facoltà di Ingegneria. La commissione nominata dal rettore YYY… deve giudicare, tra i sei candidati, tale XXX… proprio il figlio del rettore. In quanti si presentano alla prova scritta? Solo XXX. E gli altri cinque? Beh, magari era una bella giornata. Quindi chi è il vincitore? XXX.

Non ho intenzione di parlare dello scandalo. Ciò che importa è la vicenda in sé, perché si presta bene a spiegare come agisce la mafia (seppure la vicenda in questione con la mafia può non c’entrare assolutamente niente).
Scrive Giuseppe Ayala (magistrato del pool Antimafia di Palermo e rappresentante dell’accusa al primo maxiprocesso) nel suo libro “CHI HA PAURA MUORE OGNI GIORNO. I miei anni con Falcone e Borsellino):

“…perché il mafioso può fare il suo mestiere solo quando la sua condizione è nota. Esempio:…. E ancora, nell’assegnazione di un pubblico appalto, un imprenditore pretende che gli altri rinuncino per favorire il suo interesse. Perché costoro dovrebbero accettare quell’imposizione? Si faccia la gara e chi farà l’offerta più vantaggiosa si aggiudicherà i lavori. In un'altra occasione un imprenditore avanza la medesima pretesa e non incontra la benchè minima resistenza. Nessuno trova nulla da ridire. Il primo non era un mafioso, il secondo sì.
Il mafioso agisce accompagnato dalla forza di intimidazione che deriva dal vincolo associativo, come precisa anche il codice penale. Se gli altri non lo riconoscono come tale, come fa a intimidire qualcuno? La sua qualità, se così la vogliamo chiamare, deve perciò essere conosciuta dall’interlocutore. E’ immaginabile che qualcuno abbia timore di uno status personale che non conosce?
La proprietà transitiva comporta che le stesse considerazioni valgano nei confronti di chi, con i maiosi, è solito trattenere rapproti di qualsivoglia genere…
I politici, invece, per mera convenienza, fingono di cadere dalle nuvole


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